Attività clinica

Ulcere del Piede: Cause, Diagnosi, e Trattamento

Le ulcere del piede nella popolazione diabetica sono uno dei principali problemi di salute nel mondo. Il quindici per cento dei 200  milioni di pazienti affetti da diabete nel mondo andranno incontro, nel corso della loro vita, ad un’ulcera del piede.

Le amputazioni di arti, sopra o sotto il ginocchio, sono una delle complicanze più temute del diabete. Nel mondo occidentale più del 60% delle amputazioni non dovute a trauma vengono effettuate su pazienti diabetici. Molti pazienti che subiscono un’amputazione hanno precedentemente sofferto di una o più ulcere. Le amputazioni maggiori aumentano il rischio di morbidità e mortalità e riducono la qualità di vita del paziente. Il trattamento delle complicanze del piede è una delle voci principali di impiego di risorse economiche e di salute indirizzate alla popolazione diabetica.

Negli ultimi anni c’è stato un notevole incremento di conoscenze dei percorsi fisiopatologici legati a queste complicanze, oltre a miglioramenti delle tecniche diagnostiche, ma soprattutto si è sviluppato un approccio terapeutico conservativo standardizzato che permette di salvare l’arto in un’alta percentuale di casi.

Un presupposto importante nel trattamento del piede diabetico è la differenziazione della diagnosi fra piede neuropatico e neuroischemico.

Nel piede neuropatico le ulcerazioni sono dovute a stress biomeccanico ed elevato ipercarico localizzato alle dita del piede e plantarmente in corrispondenza delle teste metatarsali. Il trattamento di un’ulcera plantare neuropatica non complicata deve, in prima istanza, correggere l’ipercarico plantare patologico. La correzione chirurgica delle deformità, in presenza o meno di ulcerazioni, rappresenta una valida terapia alternativa al trattamento conservativo. Un’ulcera neuropatica, se non curata adeguatamente, può diventare un’ulcera cronica che non guarisce. Un’ulcera che non risponde alle terapie idonee ha un’alta probabilità di portare a progressione infettiva e coinvolgimento delle strutture ossee (osteomielite) in un tempo variabile. La neuroartropatia di Charcot costituisce una particolare complicanza della neuropatia sensitivo-motoria che può portare al collasso o distruzione delle articolazioni e a fratture patologiche. Nella popolazione diabetica la malattia vascolare periferica (PVD) è, assieme alla complicanza infettiva,  il principale fattore di rischio di amputazione. Se la malattia vascolare periferica non viene diagnosticata, il trattamento dell’ulcera non può avere successo. Nei pazienti diabetici la PVD è spesso diffusa coinvolgendo le arterie femorali, poplitee e tibiali. Può essere trattata con chirurgia a cielo aperto o con procedure endovascolari. L’infezione del piede diabetico è una complicanza molto seria: il flemmone o la fascite necrotizzante costituiscono un fattore di rischio sia per gli arti, che per la stessa vita del paziente, per cui diventa obbligatorio intervenire chirurgicamente con urgenza.

Epidemiologia

Circa il 15% di pazienti diabetici soffre di ulcera del piede nell’arco della loro vita. In letteratura l’incidenza e la prevalenza dell’ulcera diabetica variano a seconda della tipologia di popolazione e del metodo di indagine usato. Studi clinici effettuati nel Regno Unito hanno evidenziato una prevalenza di questa lesione tra il 5.3% ed il 7.4%. Negli USA, Ramsey ha evidenziato un’incidenza cumulativa di lesioni del 5.8% in pazienti dimessi dall’ospedale in un periodo di 3 anni. In Svezia è stata registrata un’incidenza annuale di ulcerazioni del 3.6% ed in Olanda si è rilevata un’incidenza annuale di ulcere in pazienti affetti da diabete di tipo II del 2.1%. In uno studio effettuato su una comunità molto grande del Regno Unito, l’incidenza annuale di ulcere del piede è stata di poco superiore al 2.0%, considerando il numero complessivo di pazienti e tra il 5.0% ed il 7.5%, considerando i pazienti affetti da neuropatia periferica.

In occidente più del 60% di amputazioni non dovute ad evento traumatico vengono effettuate su pazienti diabetici. L’incidenza di amputazioni maggiori varia dallo 0.5 al 5 per 1000 pazienti.

I tassi di amputazione variano a seconda dei paesi, delle etnie ed anche all’interno di uno stesso paese e possono eccedere il 20 per 100,000 persone. Il numero di ulcerazioni e soprattutto di amputazioni aumenta a causa  di diagnosi errate e trattamenti non mirati. I tassi di morbilità e mortalità sono maggiori nei pazienti affetti da ulcerazioni. La mortalità perioperatoria è alta: 9% in uno studio olandese e 10-15% in uno del Regno Unito. Un recente studio retrospettivo, di Aulivola et al. sulla mortalità nei primi 30 giorni che seguono un’amputazione maggiore, (sopra o sotto il ginocchio), mostra che la mortalità arriva al 10%. In uno studio di follow up effettuato su pazienti sottoposti ad amputazione Faglia e coll. hanno riscontrato un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 50%.

Nel 1989 la dichiarazione di Saint Vincent ha citato tra i suoi obiettivi principali, da raggiungere con piani quinquennali, l’abbattimento del 50% di amputazioni maggiori ed il miglioramento della qualità delle cure prestate nel mondo a pazienti affetti da diabete mellito. Anche se in alcune popolazioni i tassi di amputazione non hanno mostrato una riduzione per i pazienti diabetici,  lavori provenienti dalla Svezia, dalla Danimarca, dall’Italia e dal Regno Unito hanno mostrato una riduzione di amputazioni maggiori.

Negli ultimi 20 anni le conoscenze fisiopatologiche ed il numero di tecniche di cura per il piede diabetico sono progressivamente aumentate. L’incremento della percentuale di arti salvati in pazienti curati da gruppi multidisciplinari è legata all’utilizzo di migliori tecniche di cura per il piede con infezioni acute, e per le condizioni di ischemia critica del piede neuro ischemico. Certe conoscenze fisiopatologiche sullo sviluppo delle ulcere sono risultate fondamentali per l’applicazione di alcune tecniche terapeutiche che si sono in seguito rilevate particolarmente efficaci.

Studi analitici e sperimentali, che hanno usato tecniche a modelli multivariati hanno individuato i fattori di rischio indipendenti che in qualche modo entrano nella fisiopatologia delle ulcere del piede diabetico. I fattori di rischio indipendenti più importanti per lo sviluppo della lesione sono considerati il diabete di lunga durata, la presenza di neuropatia periferica e malattia vascolare periferica, precedente ulcera del piede e precedente amputazione. Il fatto di soffrire di diabete da lungo tempo, anche dopo un controllo per età, è un risultato statisticamente significativo in tre studi clinici. Il ruolo indipendente dell’ipercarico plantare rimane da chiarire

Definizione e classificazione delle ulcere del piede

L’International Consensus on the Diabetic Foot definisce l’ulcera del piede diabetico come una lesione profonda al di sotto della caviglia in un paziente che soffre di diabete, indipendentemente dalla durata della malattia.

Il piede diabetico deve essere considerato come una patologia complessa.

Si distinguono due entità cliniche: il piede neuropatico e il piede neuroischemico. Entrambe le entità hanno diversa patofisiologia, fasi diagnostico-terapeutiche ed esiti clinici. Queste due entità distinte hanno tempistiche diverse che giustificano un approccio metodologicamente integrato ma essenzialmente diverso. Nel 1990 Pecoraro ha sottolineato i processi che portano il soggetto diabetico con complicanze neuropatiche ed ischemiche allo sviluppo di una gangrena, attraverso una catena di eventi definiti, con un conseguente alto rischio di amputazione. Nel trattamento del piede diabetico, è utile chiarificare l’importanza di decidere i passi essenziali nelle strategie diagnostiche e terapeutiche mirate al salvataggio dell’arto. È solo riconoscendo i fattori in grado di influenzare negativamente la prognosi e correggendoli (ad es. l’ischemia critica e la rivascolarizzazione, l’osteomelite e il suo trattamento chirurgico, la sindrome compartimentale e la chirurgia d’urgenza) che possiamo ridurre il numero di amputazioni nella popolazione diabetica di riferimento. L’obiettivo di questa analisi è quindi quello di definire le strategie terapeutiche nell’ambito delle diverse tipologie di sindrome del piede diabetico.

Sono stati proposti diversi sistemi di classificazione delle ulcere del piede diabetico. I sistemi di classificazione più popolari sono da tempo quelli di Wagner (tab. 1) e la classificazione dell’università del Texas (tab. 2).

Tab. 1 Classificazione del piede diabetico secondo  Wagner

Grado 0Lesione pre-ulcerativa
Grado 1Ulcera superficiale fino al ma non attraverso il derma
Grado 2Ulcera profonda fino ai tendini o al tessuto sub cutaneo più profondo ma senza coinvolgimento dell’osso o osteomielite
Grado 3Ulcera profonda fino all’osso
Grado 4Cancrena localizzata
Grado 5Cancrena dell’intero piede

Tab.2 Classificazione dell’università del Texas

Stadio

Grado

0

1

2

3

A

Lesioni pre o post-ulcerative
completamente epitelizzate

Ulcera superficiale che non coinvolge
tendine capsula articolare ossa

Ulcera profonda che interessa tendine
o capsula articolare

Ulcera profonda che interessa
l’osso o l’articolazione

B

Con infezione

Con infezione

Con infezione

Con infezione

C

Con ischemia

Con ischemia

Con ischemia

Con ischemia

D

Con infezione e ischemia

Con infezione e ischemia

Con infezione e ischemia

Con infezione e ischemia

Fisiopatologia e trattamento del piede neuropatico

L’associazione fra la neuropatia periferica e le ulcere del piede sono costanti nella letteratura. La neuropatia è associata ad un rischio di ulcerazione da 8 a 18 volte più alto e ad un rischio di amputazione da 2 a 15 volte più alto. È stato ampiamente dimostrato che le alterazioni biomeccaniche del piede diabetico, che includono ipercarico plantare, deformazioni ossee e piede equino, sono tutte correlate ad un aumento significativo del rischio di ulcerazione (FIG.1).
La neuropatia periferica è considerata l’alterazione fisiopatologica di base che porta alla neuroartropatia di Charcot (FIG.2)

Alterazione neuroischemiche nel piede diabetico

Fig.1 Alterazione neuroischemiche nel piede diabetico

Osteoartropatia di Charcot

Fig.2 Osteoartropatia di Charcot

Piede neuropatico

Fig.2 Piede neuropatico

I meccanismi attraverso i quali la neuropatia agisce come evento patogenetico per l’ulcerazione, e conseguentemente l’amputazione, sono diversi e complessi. Inizialmente, la riduzione della sensibilità protettiva (inclusa la sensibilità al dolore e al calore) porta ad una riduzione della percezione degli stimoli del dolore. Poi la componente motoria della neuropatia implica un progressivo indebolimento della componente muscolare intrinseca formata da interossei e lombricali. Tale quadro si estrinseca in deformità delle dita a martello o ad artiglio e formazione di aree di ipercarico, identificabili sotto le teste metatarsali ed all’apice delle dita (fig.2). Infine, la componente autonoma della neuropatia causa anidrosi e pelle secca e squamosa, oltre ad un aumentato numero di shunt artero-venosi che portano ad una alterata perfusione della cute e delle ossa.

Un paziente sviluppa un’ulcera neuropatica a causa di ipercarico plantare patologico. L’ipercarico patologico viene immediatamente individuato in un piede che mantiene la completa sensibilità. Purtroppo, in un soggetto neuropatico i ripetuti traumi dovuti a fattori ambientali (scarpe che calzano malamente, oggetti appuntiti, superfici di appoggio) non vengono percepiti. Le caratteristiche cliniche dell’ulcera neuropatica sono le seguenti: sviluppo, in assenza di dolore, in un’area di ipercarico, solitamente è circondata da un cercine calloso la cui formazione solitamente precede la formazione dell’ulcera. Come le ulcere da decubito, le ulcere plantari neuropatiche tendono ad essere profonde con una piccola apertura verso la superficie, ma con un più grave coinvolgimento dei tessuti più profondi. Il rischio che l’ulcera peggiori, sia in termini di distruzione progressiva del tessuto profondo, sia di infezione, è correlato alla coesistenza di una componente ischemica. Per questo la malattia vascolare periferica deve essere esclusa nella valutazione clinica iniziale di un’ulcera pur in presenza di caratteristiche cliniche specifiche della lesione neuropatica.
Effettuata la valutazione dell’ulcera, si deve eseguire un’appropriata detersione che dovrebbe rimuovere completamente il callo perilesionale e tutti i tessuti non vitali fino a giungere a tessuti ben sanguinanti. Un debridement aggressivo consente la completa asportazione di tutti i tessuti necrotici, diminuendo la carica batterica e accelerando la riepitelizzazione. È quindi necessario eseguire un’accurata manovra di specillazione dell’osso (manovra “probe to bone”) per capire il coinvolgimento delle strutture più profonde, come tendini, capsule articolari e ossa.
Nella maggioranza dei casi la manovra di specillazione dell’osso, con attrezzo sterile smusso, è in genere un sufficiente strumento per evidenziare un coinvolgimento delle strutture ossee (osteomielite). È quindi necessario usare metodi più complessi come la risonanza magnetica nucleare.
La letteratura evidenzia chiaramente come sia essenziale ridurre l’ipercarico nei casi di ulcera neuropatica plantare non complicata. Esistono vari approcci per tale obiettivo, tra cui l’utilizzo del gambaletto gessato, calzature da medicazione e tutori (walker e AIRCAST walker).
La riduzione dell’ipercarico plantare e delle forze di taglio sul piede è l’aspetto più importante, e spesso più trascurato, nella cura delle ulcerazioni neuropatiche. La scelta del dispositivo di riduzione del carico deve tenere conto della stabilità della postura, dell’attività del paziente e delle controindicazioni. In molti casi più il dispositivo di riduzione del carico controlla la deambulazione, più veloce è la cicatrizzazione. Senza tenere in considerazione questa importante componente del percorso causale, l’ulcera tenderà a cronicizzare esponendo il paziente ad un rischio di progressione. I pazienti preferiscono l’uso di calzature ortopediche o calzature da medicazione, ma in realtà il trattamento più efficace richiede l’uso di un dispositivo che ostacoli notevolmente la normale attività per 6-8 settimane. Il total contact casting (TCC) è considerato il gold standard per il trattamento delle lesioni ulcerative plantari nel piede diabetico. Studi clinici randomizzati hanno evidenziato come il total contact casting guarisca circa il 90% delle ulcere del piede ed il tempo di cicatrizzazione medio vari dalle 6 alle 8 settimane. Alcuni autori hanno recentemente dimostrato attraverso studi istopatologici che la componente infiammatoria delle ulcere sottoposte ad una biopsia escissionale, dopo un trattamento con un gambaletto gessato, era ridotta rispetto ad altri tipi di trattamento. Inoltre i parametri di riepitelizzazione, (produzione di collagene, angiogenesi, quantità di tessuto di granulazione), erano migliori nel gruppo di pazienti trattati con total contact casting.
Per preparare un total contact cast (TCC) è necessario personale con esperienza, al fine di minimizzare il rischio di lesioni iatrogene. Questo implica un costo alto ed un tempo più lungo.
Il cast di solito viene tenuto per 5-7 giorni e deve poi essere rimosso, in quanto la ferita deve essere controllata ed il gambaletto rimodellato.
È assolutamente controindicato l’uso del TCC in caso di ischemia con tensione transcutanea di ossigeno (TcPO2), misurata sulla superficie dorsale dell’avampiede, minore di 30 mmHg, in caso di infezione, se c’è coinvolgimento di tessuti profondi e/o in presenza di osteomielite e in caso di difficoltà deambulatorie dovute a complicanze neurologiche e/o riduzione del visus. Contemporaneamente all’uso del Total Contact Casting somministriamo ai pazienti eparine a basso peso molecolare. L’alto tasso di guarigione delle ulcere con l’uso del Total Contact Casting è comunque superiore rispetto a quello riportato utilizzando medicazioni avanzate, prodotti di ingegneria tissutale, o fattori di crescita. Studi che hanno utilizzato delle tecnologie avanzate riportano una percentuale di cicatrizzazione del 30-65% in un tempo compreso tra 12 e 20 settimane.
Uno scorretto piano diagnostico, una scorretta valutazione dello stadio dell’ulcera e di conseguenza un erroneo approccio terapeutico, implicano un maggiore rischio che l’ulcera diventi cronica e che l’infezione si propaghi. Il primo passo nel trattamento di una lesione neuropatica non complicata è il debridement locale, la medicazione e la riduzione dell’ipercarico. A volte le condizioni cliniche esistenti fanno si che la chirurgia sia il trattamento di scelta. Armstrong e Frykberg hanno descritto una classificazione della chirurgia del piede diabetico che collega le classi di trattamento con i punteggi di rischio di amputazione63. Le indicazioni per il trattamento chirurgico delle ulcere neuropatiche plantari essenzialmente sono le seguenti: 1) presenza di osteomielite 2) esostosi plantare non gestibile con ortesi e calzature con un consistente rischio di recidiva ulcerativa 3) ulcere croniche resistenti a terapia conservativa.
In queste situazioni, la chirurgia permette di ottenere due risultati importanti: la significativa riduzione del tempo di guarigione della lesione nonchè la correzione chirurgica dell’ipercarico patologico tramite la rimozione dell’ osso esostotico. Piaggesi et al. hanno mostrato che il trattamento chirurgico di un’ulcera (ulcerectomia) unito alla decompressione dovuta alla esostosi (esostectomia), in una popolazione di pazienti diabetici affetti da ulcere neuropatiche plantari, permette di ridurre significativamente il tempo di guarigione e di ridurre la percentuale di recidive rispetto al trattamento conservativo (FIG. 3).

Fig.3 Trattamento chirurgico dell’ulcera neuropatica plantare

Prima dell’ulcerectomia viene eseguito l’esame microbiologico, al fine di decidere la terapia antibiotica più appropriata. È necessario stabilire se ci sia un qualche coinvolgimento osseo, al fine di pianificare il più idoneo approccio chirurgico per l’ulcera. Nella quasi totalità dei casi si preferisce utilizzare un approccio anestesiologico loco regionale (posizionamento di un catetere perineurale a livello di nervo sciatico oppure un blocco di caviglia).

Generalmente si asporta tutto lo spessore dell’ulcera [1]. In caso l’evidenza clinica o radiologica mostri il coinvolgimento osseo, il segmento di osso in questione viene esposto e rimosso  [2]. Le localizzazioni più comuni sono le teste metatarsali, l’apice delle dita, le articolazioni metatarso-falangee, l’osso cuboide, il cuneiforme mediale. In caso di coinvolgimento di una testa metatarsale, dopo l’ulcerectomia, questa dovrebbe essere esposta ed  asportata completamente utilizzando una sega sagittale. L’epifisi prossimale della falange basale viene asportata solo quando indagini radiologiche o cliniche rivelino osteomielite. La parte dell’osso asportata viene inviata in laboratorio per l’esame microbiologico e istologico. Prima di suturare, utilizzando l’irrigazione pulsata con soluzione antisettica e fisiologica [3], si procede ad una attenta emostasi per evitare la formazione di ematomi, poi si posiziona un drenaggio in aspirazione o una garza [4] suturando la breccia chirurgica con monofilamento di nylon 3-0/4-0 o prolene [5]. Di solito si evita l’uso di punti di sutura con filo riassorbibile, per evitare ischemia o infezione dei tessuti.

Questa è sicuramente la tecnica più semplice. Le tecniche più complesse di copertura, come la chirurgia a lembo ruotato o avanzato, vengono utilizzate nei casi di ulcerazioni più estese.

Il coinvolgimento di molteplici teste metatarsali, o la presenza di una vasta ulcera a livello plantare, potrebbero indicare la necessità di usare tecniche chirurgiche più complesse anche se completamente conservative, come il riallineamento panmetatarsale.

L’intervento chirurgico dovrebbe essere sia curativo che efficace nel prevenire l’insorgere di nuove lesioni. L’utilizzo di ortesi non è sempre possibile a causa dell’ipercarico plantare sull’avampiede dovuto a piede equino. In questi casi va considerato l’intervento chirurgico. Il trattamento dell’ipercarico tramite l’allungamento del tendine di Achille si è dimostrato efficace sia nel ridurre la pressione da carico nell’area plantare dell’avampiede, sia nel ridurre i rischi primari di ulcerazione e infezione ricorrente.

Principi per il trattamento del piede neuroischemico

Le caratteristiche epidemiologiche della malattia vascolare periferica (PVD) sono più evidenti nella popolazione diabetica, rispetto al resto della popolazione. La caratteristica principale della PVD nella popolazione diabetica è la sua presentazione morfologica e clinica. La malattia arteriosclerotica è diffusa ma si trova principalmente sotto il ginocchio; c’è prevalenza di occlusioni, piuttosto che di stenosi. Il dolore con la tipica sintomatologia (claudicatio intermittens) è ridotto o completamente assente, e ciò è dovuto alla co-presenza di neuropatia sensitiva, e la mediocalcinosi è comune. Queste caratteristiche rendono la PVD nei pazienti diabetici più difficile da diagnosticare e la terapia più problematica, rispetto a pazienti non-diabetici.
Il mancato riconoscimento della arteriopatia, la mancata stadiazione e determinazione del livello di gravità e successivamente la mancata correzione rende conto del rischio di amputazione rappresentato dalla PVD.
Nonostante questo, negli ultimi dieci anni, le procedure di rivascolarizzazione si sono rivelate opzioni efficaci determinando un incremento significativo del numero dei salvataggi d’arto .
La frequente presenza di calcificazioni arteriose è un altro elemento che crea confusione e che a volte comporta una incorretta valutazione dell’importanza dei parametri di pressione in termini di indice caviglia-braccio. Queste caratteristiche tipiche del diabete sono i fattori primari che portano a sottostimare la presenza di PVD, e questo errore gioca un ruolo fondamentale di rallentamento della cicatrizzazione delle ulcere e di possibile gangrena ed è un fattore contributivo per molte amputazioni. Questo è particolarmente vero nel caso di programmazione di una amputazione minore in cui il livello di vascolarizzazione determina in maniera significativa la possibilità di guarigione della ferita chirurgica evitando la necessità di eseguire una re-amputazione ad un livello più prossimale.
I criteri diagnostici della TASC (TransAtlantic Inter-Society Consensus) sono stati pubblicati nel 2000 (tab. 3). La Consensus ha introdotto un utile strumento diagnostico – ossimetria transcutanea dell’ossigeno (TcPO2) – ed ha stabilito dei più alti cut-off di pressione rispetto a quelli stabiliti in precedenza. Alcuni parametri non sono applicabili alla popolazione diabetica, in quanto il dolore a riposo è spesso assente e la pressione alla caviglia spesso non è rilevabile o erroneamente alta. Nella nostra esperienza, circa il 50% dei pazienti affetti da ulcera del piede presentano valori pressori falsamente alti, dovuti alla non comprimibilità delle arterie, come riportato da Gibbons.

Tab.3 Ischemia critica degli arti: criteri diagnostici (TASC)

La pressione all’alluce è ancora meno utile, non solo perchè le calcificazioni spesso includono le arterie interdigitali, ma soprattutto perchè la lesione trofica o la gangrena spesso riguarda l’alluce. Nella nostra pratica clinica, ci basiamo sull’ossimetria transcutanea, in quanto è misurabile in tutti i pazienti.

L’esame ecocolor-doppler è uno strumento diagnostico accessibile e diffuso, e produce due tipi di informazione allo stesso tempo: una morfologica, che riguarda la presenza di stenosi od occlusioni,  una funzionale, che riguarda la velocità del flusso sanguigno. Questo tipo di indagine è molto sensibile e indicata sui vasi prossimali di coscia. Anche senza arteriografia, alcuni autori considerano questo esame sufficiente per programmare la rivascolarizzazione. La principale limitazione dell’esame ecocolor doppler è la sua dipendenza dall’abilità dell’operatore, infatti fin troppo spesso vengono effettuate esaminazioni difettose, che risultano non affidabili per diagnosticare la PVD. La fig.4 mostra il nostro protocollo clinico e strumentale per la valutazione della PVD. L’arteriografia è lo strumento diagnostico gold standard che risponde completamente al bisogno di definire precisamente l’esistenza, l’estensione, la localizzazione e la morfologia della lesione arteriosa, anche in pazienti diabetici. L’arteriografia viene spesso descritta come indagine a più alto rischio di complicanze soprattutto della popolazione diabetica. Questo è particolarmente vero soprattutto per quanto riguarda la tossicità a livello renale. La tecnica digitale e un mezzo di contrasto non ionico richiedono un dosaggio e una concentrazione più bassi. Sia la letteratura che la nostra esperienza hanno confermato che le procedure di idratazione pre e post esame riducono drasticamente il rischio di tossicità renale. Nei pazienti cardiopatici con frazione di eiezione cardiaca <40% usiamo furosemide all’inizio e alla fine dell’idratazione quotidiana per evitare i possibili effetti del sovraccarico di liquidi. Questo protocollo procedura ci ha permesso praticamente di ridurre drasticamente il rischio di nefropatia dovuta al mezzo di contrasto.

Le indagini angio-TAC ed angio-RMN sono attualmente prese in considerazione, ma a causa del costo elevato e della scarsa reperibilità della strumentazione, non riteniamo che attualmente costituiscano uno strumento diagnostico di routine. Noi riteniamo che l’arteriografia crei ”un ponte” tra la diagnosi e la terapia concentrando in un singolo tempo operativo tali steps.

Fig.4 Grafico del protocollo diagnostico-terapeutica per la PVD

Sicuramente il trattamento endovascolare o chirurgico è il solo trattamento in grado di ridurre significativamente il numero di amputazione degli arti, come è ampiamente dimostrato in letteratura. La rivascolarizzazione può ripristinare un flusso arterioso diretto dove è stato interrotto o significativamente ridotto. Questa è una condizione indispensabile affinché l’ulcera in un piede ischemico si rimargini, senza dover ricorrere ad una amputazione.

Questa procedura diventa essenziale anche in caso di dolore a riposo, ed è anche indispensabile quando si debba programmare un intervento di chirurgia profilattica o correttiva. Noi consideriamo scorretto procedere ad una amputazione senza aver espletato una diagnosi esaustiva di PVD e (ove appropriato) senza aver considerato la rivascolarizzazione.

L’utilizzo di una procedura di rivascolarizzazione è controversa nel caso di presenza di sola claudicatio. Evitiamo di proporre procedure di rivascolarizzazione per questa condizione e preferiamo correggere i fattori di rischio e pianificare follow-up clinico, anche se consideriamo la rivascolarizzazione in casi claudicatio serrata con intervallo libero di marcia inferiore a 50 metri, ma solo se il paziente la richiede ed è ben informato dei rischi connessi a tale procedura. Rimangono incertezze su quale sia l’approccio terapeutico più efficace e sicuro per questi pazienti.

Nel nostro protocollo l’angioplastica transluminale percutanea (PTA) è la procedura di rivascolarizzazione di prima scelta. I risultati in termini di successo terapeutico sono simili a quelli determinati dal by-pass confezionato con vena autologa (BPG). Non richiede anestesia generale o spinale, è ben tollerata, ha tempi di ospedalizzazione brevi e la possibilità di BPG in caso di fallimento non è da escludere. Nelle mani di operatori esperti la PTA è un trattamento efficace anche per ostruzioni distali lunghe e multiple, come notato in linee guide recenti. Comunque in presenza di ischemia critica degli arti (CLI) qualsiasi procedura che serva a salvare il piede è ben accetta.

Nel nostro protocollo la PTA viene effettuata contemporaneamente all’angiografia. Se la PTA non viene considerata fattibile lo studio angiografico viene utilizzato per valutare la possibilità di intervenire chirurgicamente. La PTA può essere associata a BPG contemporaneamente alla procedura chirurgica o subito dopo. Un esempio è il by-pass femoro-popliteo associato a PTA procedure che permette la ricanalizzazione dei vasi tibiali. Questo permette di effettuare un by-pass “corto”, che ha una tempistica chirurgica più breve e migliori possibilità di pervietà nel lungo periodo, piuttosto che “lungo”. La PTA distale permette un buon run-off del by-pass.

Nella nostra pratica clinica un by-pass chirurgico viene eseguito solo se si ritiene la PTA impossibile o inefficace. È stato ampiamente dimostrato che i by-pass distali sono possibili ed efficaci nei pazienti diabetici.

Come per la restenosi, una occlusione non correggibile di un by-pass non comporta automaticamente il ricorso ad una amputazione: infatti se la stenosi del by pass avviene dopo la guarigione della lesione trofica il paziente può rimanere asintomatico.

INFEZIONI DEL PIEDE: TIMING DEL TRATTAMENTO E PROTOCOLLI TERAPEUTICI

Un’ulcera può comparire come una patologia non complessa, ma poi, nelle settimane o mesi successivi, sviluppare infezione e coinvolgere i tessuti molli circostanti e profondi arrivando ad interessare l’osso.

I casi di distruzione grave di tessuti molli, osteomielite e sindrome compartimentale (progressione infettiva con interessamento dei compartimenti profondi del piede) sono delle reali emergenze mediche e chirurgiche.

In questi casi la componente ischemica non rappresenta un iniziale elemento di rischio di ulcerazione, ma è sicuramente la causa più importante che determina il rischio di amputazione. L’infezione dei tessuti molli, la progressiva compromissione dei tessuti profondi e lo sviluppo di foci osteomielitici sono i fattori che separano il trattamento conservativo dal più aggressivo approccio chirurgico demolitivo. Questa fase deve includere attenta pianificazione terapeutica, che deve basarsi sull’esame microbiologico associato alla localizzazione e stadiazione dell’infezione, dopo aver escluso la componente ischemica. La rivascolarizzazione va chiaramente posticipata al trattamento dell’infezione.

Le infezioni che non mettono immediatamente l’arto a rischio vengono definite come “non limb-threatening” e sono generalmente caratterizzate dall’assenza di segnali di intossicazione sistemica. In una lesione superficiale generalmente non sono presenti: cellulite >2 cm, ascessi profondi, osteomielite, o gangrena. Le infezioni “limb-threatening” (che mettono a rischio l’arto) presentano: cellutite estesa, ascessi profondi, osteomielite, o gangrena. L’ischemia caratterizza una lesione superficiale come “limb-threatening”143. Lipsky ha fornito una classificazione più specifica delle infezioni, mostrata in tab.4.

Tab.4 Caratteristiche cliniche delle infezioni del piede diabetico

Manifestazioni cliniche di infezioni Gravità dell'infezione
Ulcerazione senza segni clinici di infezione Assenza di infezione
Cellulite ≥ 2cm (presenza di pus o eritema, dolore, dolore alla palpazione, aumento della temperatura locale) cellulite ed eritema si estendono per 2 cm o meno attorno all’ulcera; l’infezione è limitata alla cute o ai tessuti sottocutanei superficiali; nessuna altra complicanza locale o manifestazione sistemica.Lieve
Infezione in un paziente in buone condizioni generali e metabolicamente stabile, ma che presenta almeno una delle seguenti caratteristiche: cellulite che si estende per più di 2 cm intorno all’ulcera; striature di linfangite; diffusione al di sotto della fascia superficiale; ascessi nei tessuti profondi; gangrena; interessamento di muscoli, tendini, articolazioni o ossaGravità intermedia
Infezione in un paziente con segni sistemici di tossicità o con instabilità metabolica (es. febbre, brividi, tachicardia, ipotensione, confusione, vomito, leucocitosi, acidosi, grave iperglicemia)Grave

Nella maggioranza degli studi clinici in letteratura, la terapia antibiotica non migliora l’esito delle ulcere non infette. È necessario effettuare un follow-up, che includa l’attento monitoraggio delle condizioni locali, per assicurare che i segnali e/o sintomi di pericolo di infezione locale siano evidenziati143. La diagnosi di infezione è clinica. La presenza di pus e/o di due o più segni di infiammazione (eritema, calore, dolore alla palpazione, aumento della temperatura locale, indurimento) dovrebbero essere usati per diagnosticare un’infezione. Di fronte ad un caso clinico di infezione “non limb-threatening” è consigliabile iniziare la terapia antibiotica il prima possibile. Per le infezioni lievi e di gravità intermedia, la terapia antibiotica viene somministrata per via orale, in quanto la terapia per via orale è meno costosa, più gestibile e solitamente sufficiente per questo tipo di infezione. La somministrazione per via parenterale (difficoltà di assorbimento intestinale, allergie gastrointestinali, isolamento di batteri resistenti alla terapia antibiotica per via orale) può essere utilizzata solo in certi casi. L’antibiotico prescelto deve raggiungere dei buoni livelli nel siero e fornire adeguata copertura contro batteri cocchi gram-positivi.

Infezione acuta
L’infezione acuta (flemmone, ascesso, fascite necrotizzante) è una condizione emergente che mette a rischio non solo l’arto, ma anche la stessa vita del paziente. Richiede valutazione, immediata ospedalizzazione e trattamento.

In caso di piede diabetico acuto il timing del trattamento è critico per il salvataggio d’arto. Il trattamento chirurgico in questi casi, eseguito in regime di urgenza, deve essere eseguito senza tener conto delle condizioni vascolari, metaboliche, nonchè lo stato nutrizionale o le condizioni vascolari. In questo quadro specifico, il debridement chirurgico presenta dei vantaggi rispetto ad altre forme di debridement (enzimatico, fisico, chimico). In caso di infezioni estese o profonde, è necessario eseguire il debridement chirurgico in sala operatoria per garantire un debridement ed un drenaggio adeguato, un idoneo controllo del dolore e dell’emostasi.
Il trattamento chirurgico, la terapia antibiotica ed il tipo di supporto necessari dovrebbero essere decisi a seguito di attento esame locale e generale del paziente (tab. 5).

Tab.5 Raccomandazioni nella valutazione del paziente diabetico affetto da infezione del piede

  • Descrivere la lesione (cellulite, ulcera, ecc.) ed il tipo di essudato (siero, pus, ecc)
  • Notare la presenza o assenza di varie manifestazioni di infiammazione
  • Stabilire la presenza o meno di infezione e tentare di individuare la probabile causa
  • Esaminare i tessuti perilesionali per evidenziare crepitazioni, ascessi, fistolizzazioni
  • Specillazione di ogni tramite fistoloso per eseguire la manovra probe to bone e verificare la contiguità con il tessuto osseo.
  • Misurare la lesione (lunghezza x larghezza; stima della profondità).
  • Fotografare la lesione nelle varie fasi del trattamento.
  • Eseguire un idoneo assessment vascolare.
  • Valutare lo stato neurologico: sensibilità protettiva; funzione motoria ed autonomica
  • Detergere ed effettuare il debridement della lesione; rimuovere corpi estranei ed escara
  • Raccogliere materiale per l’ esame microbiologico (tramite curettage, aspirazione, o tampone)
  • Nella maggior parte dei casi richiedere una semplice radiografia del piede

Oltre a determinare una prognosi negativa, l’ infezione può portare a ischemia tramite meccanismi infiammatori e di danno trombotico, che coinvolgono le arterie digitali terminali (aumento del consumo di ossigeno, edema, tromboangioite con minaccia di diffusione settica). È specificatamente per questo motivo che il debridement consente la riduzione della massa infetta e migliora le condizioni di circolazione locale.

Il debridement chirurgico del piede infetto

Il debridement chirurgico è la rimozione fisica di materiale necrotico, corpi estranei e tessuto infetto dal letto di un’ulcera acuta o cronica, con evidente riduzione secondaria della carica batterica. Questo trattamento aiuta ad ottenere un ambiente adatto a ripristinare i processi fisiologici di riparazione tessutale.

Applicare alle ulcere un approcio chirurgico aggressivo, ritenuto efficace nel trattamento di lesioni acute od ustioni, può essere di beneficio anche nel trattamento delle lesioni croniche. Uno dei principali motivi di utilizzo del debridement è infatti quello di trasformare una lesione cronica in una acuta, che presenta caratteristiche più adatte alla riparazione.

La frequenza con cui si effettua il debridement su una lesione dipende da diversi fattori, come ad esempio dall’epoca di insorgenza della lesione, dalla presenza di un coinvolgimento dei tessuti profondi e dell’osso. Steed et al. hanno notato l’effetto positivo sulle lesioni croniche del debridement chirurgico effettuato periodicamente, piuttosto che sporadicamente.

La procedura dovrebbe essere svolta senza laccio emostatico, in modo da poter valutare l’effettivo sanguinamento e la vitalità dei tessuti. Il trattamento deve quindi essere abbastanza aggressivo da rimuovere tutto ciò che potrebbe impedire la rigenerazione dei tessuti, ma abbastanza delicato da lasciare intatti i tessuti sani. L’asportazione del tessuto danneggiato dovrebbe comunque essere completa e non dovrebbe fermarsi fino al raggiungimento di tessuto sanguinante chiaramente sano. Dopo il debridement è di fondamentale importanza detergere la lesione, preferibilmente tramite irrigazione ad alta pressione. Questa procedura, proprio per la pressione dell’irrigazione, consente una decontaminazione più profonda sia dal tessuto necrotico, sia dal carico batterico. Esistono diversi strumenti chirurgici adatti al debridement chirurgico ed il loro utilizzo dipende dalla preferenza del chirurgo che effettua l’operazione. Solitamente si usano bisturi, curette, forbici e pinze. Recentemente sono stati lanciati sul mercato nuovi strumenti adatti al debridement chirurgico, come gli ultrasuoni o idrobisturi che, tramite sottilissimi getti d’acqua ad altissima pressione, permettono il debridement selettivo del tessuto necrotico.

Se non è possibile valutare un piano di clivaggio tra i tessuti sani ed i tessuti coinvolti nel processo infettivo, si dovrebbe utilizzare una tecnica per rimuovere il tessuto danneggiato in maniera concentrica, quindi partendo dal centro della lesione e gradualmente allargandosi, fino a raggiungere tessuto vitale sanguinante. La presenza di trombi venosi ai margini della lesione indica che la microcircolazione è completamente compromessa e si deve quindi chiaramente procedere all’ ulteriore asportazione dei tessuti. La condizione dello strato sottocutaneo va valutata dopo la rimozione del derma. Durante questa fase andrebbero prelevati alcuni campioni per l’esame microbiologico. Di solito, dopo il debridement, per la medicazione usiamo delle semplici garze imbevute di soluzione antisettica. Una nuova soluzione antisettica si è recentemente rivelata più efficace dello iodopovidone nel trattamento delle ulcere infette.

Data la fisiologica riduzione nella vascolarizzazione dello strato subcutaneo, il grado di sanguinamento non è sempre un indicatore affidabile che si sia raggiunto il tessuto vitale. Il tessuto adiposo sano è giallo, mentre la presenza di tessuto grigio, non elastico, è un chiaro sintomo che il tessuto sia danneggiato. Le aree danneggiate devono essere asportate completamente, in quanto mettono a rischio la sopravvivenza del tessuto epiteliale. I piccoli vasi vanno coagulati tramite forcipe bipolare, al fine di limitare i danni ai tessuti circostanti. I vasi con più di 3 mm di diametro vanno legati tramite sutura non riassorbibile. Per prevenire che il tessuto adiposo si disidrati, è spesso necessario applicare una medicazione umida.

La fascia connettivale è bianca, brillante e dura. Se si presenta in buone condizioni, deve possibilmente essere lasciata intatta. Se infetta, appare soffice e sfilacciata. Se necrotica, va rimossa fino a raggiungere tessuto sano. Lo stesso trattamento va applicato alla muscolatura.

La procedura di debridement dei tendini è una “vexata quaestio”, in quanto implica un deficit funzionale. Se risulta evidente che sono privi di infezione, dovrebbero essere lasciati intatti, mantenendo il paratenonio che fornisce loro il nutrimento. È necessario utilizzare una medicazione umida per prevenire la disidratazione e conseguentemente la superinfezione batterica. Il tendine di Achille è spesso esposto nelle lesioni del retropiede. Questo tendine riceve  un abbondande apporto di sangue dall’arteria tibiale posteriore e dall’interossea. In caso di necrosi parziale, si effettua il debridement fino al raggiungimento di tessuti vitali, poi si applica una medicazione umida, o si effettua NPWT dopo aver protetto i tessuti decontaminati con garza oleata. Una volta ottenuto che il tessuto di granulazione copra il tendine, si può effettuare un innesto cutaneo libero. Un altro punto chiave nel debellare l’infezione è il trattamento dell’osteomielite. L’osso malacico non sanguinante dovrebbe essere rimosso. Gli strumenti usati per questa operazione sono pinze e sega oscillante.

Il metodo migliore per la decontaminazione di piccole parti di osso (falangi, teste metatarsali)  è la resezione di sottili sezioni di osso fino a raggiungere osso sano, sanguinante. Il tessuto deve anche essere irrigato con soluzione salina per limitare l’innalzamento della temperatura locale causato dalla sega oscillante.

Nel trattare l’osteomielite non si devono tenere in troppa considerazione le problematiche legate al trattamento chirurgico tramite asportazione di un segmento osseo: tutta la parte infetta dell’osso andrebbe conseguentemente asportata. La possibile correzione dello sbilanciamento meccanico, risultante dal trattamento radicale dell’osteomielite, va considerato dopo l’infezione e l’ischemia dovrebbe essere controllata. I campioni microbiologici sia dell’osso infetto, che clinicamente sano, restano essenziali per delimitare l’infezione. La rimozione chirurgica dell’osso riduce la durata della terapia antibiotica ed i rischi di effetti collaterali (colite pseudomembranosa, comparsa di micro-organismi resistenti e reazioni allergiche). Quando si è relativamente certi che il focolaio di osteomielite sia stato eradicato, è sufficiente continuare la terapia antibiotica per le tre settimane successive all’intervento chirurgico. Nei casi in cui sono coinvolti compartimenti profondi del mesopiede, si deve controllare qualsiasi coinvolgimento delle strutture prossimali attorno alla caviglia (articolazione sub-talare e tibio-talare). I modi in cui progredisce l’infezione, che può generalmente essere indentificata nei compartimenti del flessore, dell’estensore e del fibulare, vanno inoltre controllati. È sufficiente una piccola incisione sopra il compartimento che si desidera investigare, con conseguente esplorazione dell’osso degli spazi profondi e delicata spremitura di essudato o pus. Una volta localizzata l’infezione, l’incisione va estesa al di là dei tessuti prossimali, con la rimozione del paratenonio e del tendine necrotico. L’investigazione prossimale  deve fermarsi solo al raggiungimento di tessuto evidentemente sano. In alcuni casi è necessario continuare oltre il piede, a volte oltre la caviglia, arrivando ai compartimenti profondi della parte bassa della gamba, fino alla cavità poplitea. Nella maggioranza dei casi questo può essere attribuito ad un quadro di fascite necrotizzante. Queste procedure necessitano spesso di essere ripetute dopo 24-48 ore. Questo trattamento è l’unica possibilità di salvataggio degli arti.

Da un punto di vista clinico la fase acuta di un piede diabetico infetto si divide in quattro stadi: cellulite, ascesso, fascite necrotizzante, gangrena. La cellulite viene solitamente trattata con terapia antibiotica, le altre tre necessitano di intervento chirurgico.

Ascesso

L’ascesso dello spazio profondo è un’infezione limb-threatening: le linee guida internazionali dicono che l’incisione, il drenaggio ed il debridement, uniti ad una terapia antibiotica ad ampio spettro, sono il metodo più efficace per eliminare completamente pus e tessuto infetto. Negli ascessi dello spazio profondo, però, il coinvolgimento dei tessuti profondi è maggiore di quello che può sembrare all’esame clinico. Questo potrebbe portare il clinico a prescrivere la sola terapia antibiotica posticipando il radicale debridement chirurgico. Il ritardo del trattamento chirurgico radicale può portare ad un’alta percentuale di amputazioni minori, ma anche di amputazioni sopra la caviglia, in quanto consente all’infezione di proliferare e distruggere i tessuti. I dati in letteratura confermano che il trattamento medico degli ascessi degli spazi profondi esclusivamente con terapia antibiotica è insufficiente e che il debridement chirurgico unito alla terapia antibiotica ad ampio spettro sono il trattamento migliore per ulcerazioni profonde del piede. La nostra esperienza indica chiaramente che ritardare il debridement chirurgico aumenta il rischio di amputazione ad un livello più prossimale, incluse le amputazioni sopra la caviglia.

Operativamente, se si osserva essudato purulente in un’ulcera, o se durante una manovra di esplorazione dell’osso (probing-to-bone) viene notato del movimento dei tessuti subcutanei o dei tessuti molli profondi, si deve sospettare la presenza di ascesso. In questo caso, l’area sospetta dovrebbe essere perforata ed i tessuti coinvolti drenati, consentendo la rimozione della massa purulenta. A volte sono necessarie una serie di incisioni attraverso l’area plantare e dorsale per raggiungere livelli più profondi. L’ipercarico in un punto prossimale potrebbe portare ad un’ulteriore scoppio ed alla completa fuoriuscita di pus.

Tutto il tessuto necrotico ed infetto deve essere gradualmente rimosso fino al raggiungimento di tessuti vitali sanguinanti. Dal punto di vista microbiologico, molti organismi possono contaminare la superficie dell’ulcera, quindi solo i campioni presi nella parte più profonda, sotto il tessuto epiteliale, possono fornire un’indicazione affidabile per la terapia antibiotica.

Fascite necrotizzante

La fascite necrotizzante è una malattia a rischio di vita. Può svilupparsi spontaneamente, specialmente in pazienti affetti da diabete e/o patologie vascolari occlusive. Il patogeno anaerobio più frequentemente riscontrato è il Peptostreptococco, come ad esempio lo Stafilococco Aureo e lo Streptococco Piogene, ma anche il Clostridium difficile e il Bacteroides Fragilis possono essere presenti. L’infezione inizia subito nelle 24-72 ore successive all’intervento chirurgico od al piccolo trauma, con ampia diffusione in profondità nella parte interessata e necrosi dei tessuti sottocutanei. Si può osservare ampia separazione e distruzione dei tessuti sottocutanei più superficiali.

Il trattamento di scelta è un’estensiva azione di debridement chirurgico dei tessuti danneggiati fino al raggiungimento di tessuti sani e sanguinanti. Questa procedura va effettuata in emergenza. La terapia antibiotica va iniziata il prima possibile, senza attendere il risultato delle colture microbiologiche.

Gangrena

La gangrena è una complicanza molto frequente, sia delle ulcere neuropatiche, che neuroischemiche. Nel piede neuropatico, questa patologia spesso coinvolge una o più dita del piede, senza compromettere l’intero piede. Il coinvolgimento delle arterie digitali porta rapidamente all’insorgere della gangrena (vasculite settica). Nella disseminazione e progressione di un’infezione che coinvolge i vasi del mesopiede, la situazione potrebbe peggiorare e portare a gangrena e coinvolgimento dell’intero piede, con indicazioni di amputazione maggiore. L’evoluzione della gangrena è generalmente più veloce e più distruttiva in soggetti diabetici con ulcerazioni, che presentino malattia vascolare occlusiva.

In entrambe le situazioni, l’approcio chirurgico  consiste nell’effettuare un’azione di debridement, che deve essere il più possibile estensivo ed accurato, volto a rimuovere tutti i tessuti non vitali. Raccomandiamo l’asportazione chirurgica del tessuto necrotico nei casi di processi vascolari occlusivi (evitando intervento chirurgico definitivo), seguita da angiografia al fine di valutare la fattibilità di rivascolarizzazione chirurgica.

Una volta risolta la fase acuta si deve decidere il passo successivo più appropriato, tenendo in considerazione lo stato clinico del paziente.

Trattamento locale delle ulcere del piede

Il trattamento locale di un’ulcera viene considerato trattamento ancillare indispensabile in un un protocollo di cura adatto. Con trattamento locale intendiamo ispezione periodica, detersione, rimozione dei detriti, controllo batterico e creazione di un ambiente adatto per facilitare il processo endogeno di riparazione tissutale. Sono disponibili molte opzioni e medicazioni, ma chiaramente il trattamento locale di un’ulcera deve essere inserito di un protocollo di cura interdisciplinare.
La scelta del trattamento locale dipende dalla valutazione generale, anche di fattori eziologici come la PVD e le alterazioni biomeccaniche che possono portare a ipercarico plantare patologico. I medicamenti più costosi per il trattamento delle ulcere plantari sono fuori luogo se non viene presa in considerazione la questione dello scarico dell’ipercarico.
Lo stato della ferita viene migliorato tramite trattamento locale adeguato. Negli stadi iniziali, quando sono predominanti le problematiche legate all’infezione, si devono utilizzare medicazioni antisettiche e azioni di debridement. Unito alla terapia antibiotica, i prodotti antisettici usati localmente possono contribuire a controllare il carico batterico. In questa fase vengono utilizzati medicamenti contenenti componenti antisettiche, come providone iodico, clorexidina e perossido di idrogeno. Recentemente sono stati prodotti dei nuovi prodotti contenenti composti dell’argento, che, tramite reazione chimico-fisica, agiscono da antisettico, garantendo un rilascio lento ed una bassa tossicità, ma allo stesso tempo mantenendo l’effetto battericida. La stessa filosofia di medicare le ulcere con antisettico a rilascio lento è alla base dell’utilizzo di cadexomero iodico. Questo è un principio attivo a base di iodio, che non solo consente la sterilizzazione chimica, ma disinfetta dai residui batterici, che vengono assorbiti all’interno dei granuli di cui è composto il prodotto.
I nuovi medicamenti hanno consentito una vittoria di fatto contro il cosiddetto “bioburden”, cioè la carica batterica della ferita, che, anche se scarsamente attiva metabolicamente, può influenzare negativamente i processi di riparazione della lesione stessa. La frase “preparazione del letto dell’ulcera” viene usata in riferimento al periodo di gestione dell’ulcera che consente di arrivare velocemente ed in modo sicuro alla formazione del tessuto di granulazione, tramite l’utilizzo di sostante istotossiche ma con potere battericida.
Nonostante la mancanza di studi clinici controllati sul piede diabetico, sono stati svolti altri studi clinici su lesioni croniche (ad esempio ustioni, piaghe da decubito, ulcere della gamba) che hanno evidenziato le grandi potenzialità di questo medicamento, anche in ambito così specializzato.
A parte i classici medicamenti antisettici, recentemente si sono resi disponibili dei medicamenti a base di argento, che si sono rivelati utili nel controllo della carica batterica e nella riduzione dei tempi di guarigione. Un nuovo antisettico locale, in soluzione con acqua altamente ionizzata, si è inoltre dimostrato superiore allo iodio povidone nel trattamento delle ulcere infette. Testi clinici hanno riportato che il prodotto presenta un’eccellente attività battericida, fungicida e virucida. Molti trial clinici stanno testando l’efficacia del prodotto in diversi ambiti.
Sono stati prodotti nuovi dispositivi di debridement con l’intenzione di fornire strumenti di preparazione della ferita che, uniti agli antisettici, permettano di controllare l’infezione.
Dopo il controllo dell’infezione, l’obiettivo è quello di disinfettare e detergere la lesione dai detriti e dal tessuto necrotico, permettendo così al tessuto di granulazione di proliferare. A tal fine si possono utilizzare metodi autolitici, unendo il razionale fondato sull’attivazione degli enzimi autolitici dei tessuti esposti nella lesione, in particolari condizioni di PH, umidità e temperatura. Questi enzimi gradualmente colliquano i materiali necrotici fino al raggiungimento del tessuto sano, sul quale sono inattivi. I materiali idonei per questa tecnica sono idrogel che vengono coperti da membrane semipermeabili trasparenti. I vantaggi di questo approcio sono l’assenza di dolore, la sua facilità di impiego e la possibilità di essere eseguito al letto del paziente. Gli svantaggi sono l’impossibilità di applicazione in pazienti che deambulano, o con infezioni o ischemia, la macerazione del tessuto perilesionale ed il costo.
I metodi enzimatici consistono nell’applicazione di preparazioni topiche di collagenasi, proteasi, desossiribonucleasi, fibrinolisina sulle lesioni, al fine di detergere enzimaticamente il fondo e le pareti. I vantaggi di questa tecnica sono la sua facilità di applicazione e la possibilità di gestione diretta da parte del paziente. Gli svantaggi sono la possibilità di sensibilizzazione nei confronti dei componenti dei prodotti topici, l’inattivazione da parte degli enzimi ed il costo. La stimolazione dei processi riparativi trova applicazioni nelle fasi anaboliche del processo di riparazione tissutale: la fase proliferativa e la fase riparativa. In questa fase possono essere usate medicazioni semi-occlusive o occlusive, e possono essere messe in atto metodiche avanzate come l’applicazione di fattori di crescita, o di prodotti di ingegneria tissutale. Le medicazioni avanzate utilizzabili in questa fase sono quelle basate su acido ialuronico, idrofibre e schiume di poliuretano.
Tra i fattori di crescita, il PDGF (Platelet Derived Growth Factor) è il più largamente studiato ed è stato valutato in studi clinici randomizzati per le lesioni del piede diabetico. L’efficacia di questo approcio è stata comunque già testata su altri tipi di ulcere croniche. I suoi limiti principali sono rappresentati dal costo elevato e dalla possibilità di sensibilizzazione al prodotto.
Recentemente sono stati messi a punto dei prodotti di ingegneria tessutale: sono ora disponibili fibroblasti e cheratinociti umani autologhi ed eterologhi su diversi tipi di supporto. La loro efficacia è stata valutata in studi clinici di controllo randomizzati. Se applicati ripetutamente, questi materiali stimolano la rigenerazione tissutale attraverso la liberazione di fattori di crescita. La filosofia di questo approcio è quella di utilizzare le cellule che producono i fattori di crescita, piuttosto che il fattore di crescita da solo, in modo da protrarre nel tempo l’azione terapeutica, anche in ragione della molteplicità dei fattori di crescita e della loro sequenzazione temporale, in relazione al processo di guarigione delle lesioni.
Una matrice extracellulare non vitale costituita di collagene e condroitina solfato C su sostituto temporaneo dell’epidermide in silicone serve a rigenerare il derma. Se applicata su lesioni chirurgiche o croniche, dopo aver ottenuto il controllo dell’infezione e la correzione dello stato di ischemia, se presente, fornisce uno scaffold per la rigenerazione tessutale.
La terapia a pressione topica negativa (NPWT) si è recentemente dimostrata efficace nel trattamento di ulcere con o senza complicanze. Il sistema consta di una schiuma reticolata (spugnosa) che viene posizionata all’interno della lesione e sigillata con medicazione occlusiva. Un tubo di aspirazione viene inserito in un foro nella medicazione, permettendo il contatto con la medicazione spugnosa, mentre l’altra estremità del tubo viene attaccata ad un macchinario che applica una pressione negativa (sub-atmosferica) che crea un effetto di suzione, che contrae la medicazione in schiuma, in modo
La terapia a pressione topica negativa è indicata per diverse tipologie di ulcera ed favorisce la guarigione dell’ulcera in vari modi – test clinici su animali hanno mostrato che la NPWT diminuisce la carica batterica nelle lesioni, trasformandole da lesioni infette a colonizzate in 4-5 giorni. L’edema viene ridotto, favorendo così la formazione del tessuto di granulazione. La NPWT intermittente è ancora più efficace nel favorire la formazione del tessuto di granulazione. Alcuni dati suggeriscono che la rimozione di citochine e l’attivazione di leucociti polimorfonucleati potrebbe essere di aiuto. È stato inoltre dimostrato che l’uso di NPWT riduce la profondità delle lesioni profonde in minor tempo rispetto a medicazioni wet-to-moist. Attualmente sono disponibili delle linee guida specifiche per l’utilizzo dellla NPWT nel trattamento delle ulcere del piede diabetico. In un recente studio multicentrico randomizzato, Armstrong et al. hanno valutato l’applicazione della NPWT alle amputazioni a cielo aperto. Il gruppo di controllo veniva trattato con medicazioni avanzate, a seconda dello standard dei centri partecipanti. Il trattamento con NPWT, utilizzato come medicazione avanzata, ha portato ad una riduzione statisticamente significativa del tempo di cicatrizzazione.

Organizzazione dell’assistenza

I percorsi diagnostici ed i trattamenti fin qui analizzati sono certamente frutto di un approcio multidisciplinare. Il modo migliore per migliorare la prevenzione ed il trattamento dei pazienti affetti da complicanze del piede diabetico è quello di creare un gruppo multisciplinare indipendente e dedicato In molti casi, quando si verifica un impatto di salute sociale, il passo decisivo nell’affrontare la problematica da un nuovo punto di vista è stato quello di creare dei centri specializzati.

Le cosiddette “cliniche del piede” presentano diverse caratteristiche a seconda dell’ambiente sanitario in cui operano i diversi specialisti. Questi sono dei professionisti dedicati alle problematiche del diabete ed esperti nelle tecniche di prevenzione e trattamento. Nel caso dell’Italia, il ruolo di coordinatore è solitamente affidato ad un diabetologo, con la collaborazione di chirurghi ortopedici e vascolari, radiologi, cardiologi, podologi, e personale infermieristico specializzato. L’organizzazione dell’assistenza dovrebbe fornire l’opzione di cura delle lesioni prive di complicanze in corsia, tramite l’utilizzo di nuove tecniche di scarico pressorio, terapia locale, e medicazioni avanzate. L’ammissione in una struttura assistenziale gestita da una clinica del piede dovrebbe avvenire solo per lesioni complesse. In tale struttura il paziente dovrebbe ricevere un trattamento onnicomprensivo, come ad esempio la rivascolarizzazione, la chirurgia in emergenza, il trattamento chirurgico elettivo, o la riabilitazione.

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