Attività clinica

La neuroartropatia di Charcot

La  neuroartropatia diabetica conosciuta anche come “piede di Charcot” (NAC) deve essere considerata una delle più gravi complicanze del diabete mellito. Una lesione ulcerata che insorga in un piede di Charcot, soprattutto se è presente una componente infettiva ed un quadro di arteriopatia ostruttiva dell’arto inferiore, comporta un rischio elevatissimo di amputazione. La diagnosi precoce permette invece di trattare tale patologia efficacemente, evitando quindi la progressione verso le gravi deformita’ del piede che caratterizzano la  fase di cronicita’ di questa patologia.

I dati epidemiologici, disponibili in letteratura, sono estremamente scarsi e discordanti. La prevalenza della NAC è compresa tra lo 0,08 ed il 7,55%  con un interessamento bilaterale tra il 9 ed il 35% .

Sebbene sembrino essere numerosi i fattori che contribuiscono all’insorgenza dei quadri di distruzione ossea ed articolare, la attuale teoria, che spiegherebbe la insorgenza della neuroartropatia di Charcot, vedrebbe come causa principale la alterata produzione locale di fattori mediatori dell’infiammazione (citochine) che alterano il rapporto tra cellule formatrici dell’osso (osteoblasti) e cellule che degradano l’osso (osteoblasti) in favore di queste ultime.

La fase acuta della NAC viene spesso misconosciuta. Molti pazienti giungono all’osservazione del medico per la comparsa improvvisa di un lieve dolore al piede, accompagnato da segni di infiammazione quali tumefazione de piede che si presenta caldo ed arrossato. Tipicamente si tratta di un paziente con diabete mellito diagnosticato da almeno 10 – 15 anni  in  controllo glicometabolico non soddisfacente, affetto una grave neuropatia sentivo motoria e con piedi totalmente insensibili. Frequentemente sono associate complicanze microangiopatiche quali nefropatia e retinopatia diabetica. Il paziente si presenta normalmente apiretico ma la temperatura cutanea del piede interessato puo’ essere di 3°C-7°C maggiore del controlaterale. La conta nel sangue dei leucociti e’ generalmente normale mentre vi puo’essere un‘elevazione degli indici aspecifici di flogosi quali VES, PCR. Lo studio radiografico eseguito al momento dell’insorgenza dei segni  clinici puo’  risultare negativo: ciò può comportare erroneamente una ipotesi diagnostica indirizzata verso  una patologia flogistica dei tessuti articolari o dei tessuti molli. Il paziente viene quindi trattato con antinfiammatori senza alcun risultato sul piano clinico. Il controllo radiografico eseguito a distanza, per il persistere dei segni clinici di infiammazione, puo’ allora evidenziare la presenza di fratture o vere e proprie dislocazioni osteoarticolari. Quando il paziente si presenta all’osservazione clinica dopo un periodo variabile da settimane a mesi dal momento dell’insorgenza del quadro acuto, possono insorgere lesioni ulcerative in corrispondenza delle deformita’ ossee nel frattempo evolute.

La fase di cronicità della osteoartropatia di Charcot è caratterizzata dalla riduzione progressiva fino alla scomparsa dei segni di flogosi locale, dalla normalizzazione della temperatura  cutanea e dalle deformità osteoarticolari  residue con conseguente instabilità  più o meno severa del piede.

L’evoluzione della fase acuta verso la fase delle deformità e della instabilità articolare è strettamente correlata al trattamento applicato dopo la diagnosi.

Poiche’ le gravi deformita’ del mesopiede e della caviglia, che si accompagnano  a severe instabilita’ articolari, sono la conseguenza  del ritardato riconoscimento  della patologia e quindi del conseguente idoneo trattamento, e’evidente quanto sia importante diagnosticare e trattare precocemente tale complicanza ed instaurare quindi il più precocemente possibile  un trattamento teso alla conservazione dell’integrità anatomo-funzionale del piede.  Si è infatti osservato che  i tempi di consolidamento delle fratture sono significativamente più corti nei pazienti  nei quali lo scarico dell’arto è ottenuto precocemente rispetto ai casi in cui diagnosi e terapia avvengono in tempi più ritardati.

Per classificare, dal punto di vista osseo, le fasi dell’evoluzione  del processo infiammatorio/distruttivo  Eichenholz ha diviso il processo  patologico in tre fasi radiologicamente distinte: sviluppo, coalescenza e rimodellamento (tab1).

1° Stadio
Dissoluzione Ossea

  • Segni locali di flogosi acuta
  • Tumefazione calda ed arrossata
  • Aumento della temperatura cutanea
  • Instabilità articolare (di varia severità)
  • Riassorbimento osseo
  • Erosione della cartilagine e dell’osso subcondrale
  • Detriti ossei e cartilaginei

2° Stadio
Coalescenza

  • Riduzione dei segni di flogosi
  • Normalizzazione della temperatura cutanea
  • Diminuzione della mobilità articolare (aumento della stabilità articolare)
  • Deformità residua
  • Riassorbimento dei detriti ossei
  • Iniziale consolidamento osseo in sede di frattura

3° Stadio
Rimodellamento

  • Assenza dei segni di flogosi
  • Deformità definitive
  • Dislocazioni articolari residue
  • Stabilità articolare residua
  • Neoformazione di osso periostale
  • Aumento della densità ossea in sede di frattura (consolidamento)
  • Sclerosi ossea

La prima fase, dello sviluppo, rappresenta la fase acuta della patologia. In questa fase  sono evidenti  i segni di flogosi locali quali edema del piede con cute calda  ed arrossata, innalzamento della temperatura cutanea locale  e  dolore. Il dolore non e’ un sintomo costante e quando c’è  non è proporzionale all’entità dei segni di flogosi presenti. Possono essere evidenti  fin dall’inizio severe deformità del piede con grave instabilità articolare quando il processo distruttivo interessa il mesopiede, l’articolazione della caviglia ed il calcagno. Quando invece è interessato l’avampiede la stabilita’ del piede e’ mantenuta. Bisogna comunque sottolineare che frequentemente il primo esame radiografico eseguito a pochi giorni dall’insorgenza del quadro acuto puo’ anche risultare negativo. Molti autori hanno suggerito che sono necessarie dalle 6 alle 10 settimane di trattamento in scarico totale dell’arto interessato per  guarire il processo infiammatorio acuto (14).

La seconda fase, della coalescenza, si caratterizza per la regressione dei segni di flogosi e dell’edema. Lo studio radiografico mette in evidenza il riassorbimento dei detriti ossei  più piccoli e l’iniziale consolidamento delle  fratture.

Durante la fase finale, del rimodellamento, avviene la riparazione finale e definitiva delle fratture nel tentativo di ripristinare la stabilita’ del piede  indipendentemente dalla deformità  alla quale e’ giunto il piede alla fine del processo evolutivo. La normale architettura del piede può essere conservata, in particolare se il trattamento protettivo e’ stato applicato correttamente e precocemente, oppure possono residuare deformità strutturali e instabilità articolari di diversa severità. Le gravi deformità che caratterizzano la fase finale del processo evolutivo possono accompagnarsi a lesioni plantari che possono interessare diverse zone della superficie plantare e che si caratterizzano per la presenza di abbondante callosità perilesionale con  una scarsa tendenza alla guarigione anche se correttamente trattate.

Sempre dal punto di vista radiologico nel 1991 Sanders e Frykberg hanno proposto una classificazione dell’interessamento osseo ed articolare del piede di Charcot nella fase di coalescenza. Questa classificazione ha il pregio di proporre un suddivisione radiologica che indica  chiaramente la genesi delle deformità strutturali del piede che si accompagnano a lesioni ulcerative plantari ed instabilità articolare corrispondenti a diversi gradi di  rischio amputativo (tabella 2).

Classificazione di sede della NAC e relativo rischio amputativo (tabella 2)

ModelloInteressamento osteo-articolareSede di lesione ulcerativa Instabilità articolare
AvampiedeArtic. Interfalagee-Falangi
Artic. Metatarso-falangee
Teste metatarsali.
Metatarso falangeaBassa
Mesopiede 1Articol. Tarso-metatarsaliCuneiforme CuboideAlta
Mesopiede 2Articol.Navicolo-cuneiforme
Articol. Talo-navicolare
Articol. Calcaneo-cuboidea
Apice del dondolo (Cuneiforme mediale, cuboide e scafoide)Alta
CavigliaArtic. CavigliaMalleolo fibulare-tibialeAltissima
RetropiedeCalcagnoCalcagnoBassa

I segni  clinici di infezione locale, che caratterizzano la  presentazione della fase acuta, pongono il quesito diagnostico di differenziare il processo osteodistruttivo della fase acuta della NAC da processi flogistici che possono interessare l’osso (osteomielite) o le strutture articolari (artrite acuta). Bisogna innanzitutto sottolineare che non vi sono accertamenti strumentali in grado di dirimere definitivamente il dubbio ma che spesso e’ l’evoluzione del quadro clinico che ci portera’ a confermare il sospetto diagnostico.  E’ inoltre importante ribadire che la diagnosi di NAC acuta deve essere posta ogniqualvolta un paziente diabetico, che presenta segni di neuropatia diabetica,  giunga alla nostra osservazione con una tumefazione calda, scarsamente dolente, che interessa una parte del piede, in assenza di lesioni ulcerative in atto e  non precedute da una storia di traumi maggiori o  minori. Lo studio radiografico in questa fase puo’ non evidenziare segni di frattura cosi come la TAC e la RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE (RMN). Nel dubbio diagnostico, in considerazione delle complicazioni che possono derivare da un ritardo nell’applicazione di un trattamento conservativo, il paziente deve essere considerato come affetto da NAC in fase acuta e posto in trattamento protettivo.  Le indagini radiologiche dovranno quindi essere ripetute a distanza di 2 – 3 settimane per ricercare i segni osteoarticolari classici della NAC . Il problema diagnostico più rilevante si pone quando il paziente  si presenta all’osservazione  con un’ulcera plantare.  L’esplorazione della lesione ulcerativa alla ricerca dell’eventuale esposizione ossea e’ la prima  manovra che deve essere effettuata. Grayson ha riportato una stretta correlazione tra l’esposizione ossea, valutata con la specillazione,  e la  presenza di osteomielite. Gli autori affermano inoltre che in caso di esposizione ossea ulteriori indagini strumentali non sono necessarie. Nel dubbio diagnostico ulteriori accertamenti che possono essere utlizzati sono la TAC e la RMN e la scintigrafia ossea con  leucociti marcati. Mentre la TAC  non sembra  essere un’indagine particolarmente specifica  la RMN rappresenterebbe un accertamento estremamente sensibile per la diagnosi di osteomielite essendo in grado di evidenziare segni precoci di interessamento della corticale ossea patognomonici di un iniziale processo osteomielitico.  La scintigrafia ossea con leuciti marcati con indio 111 ha dimostrato di possedere un’elevata sensibilità ma minore specificità.  La biopsia ossea rimane comunque l’esame diagnostico più specifico  che deve essere eseguito solo in caso di mancata guarigione di una lesione ulcerativa o per il persistere di un’nfezione  che interessi tessuti molli in prossimita’ di salienze ossee.

IL TRATTAMENTO DELLA NEUROARTROPATIA DI CHARCOT

Trattamento della fase acuta

Come più volte sottolineato, la diagnosi precoce seguita da un corretto trattamento instaurato il più presto possibile rappresenta l’unico strumento in grado di fermare o rallentare il processo osteodistruttivo caretteristico della fase acuta della NAC. L’obiettivo principale del trattamento della fase acuta è  quello di evitare l’evoluzione  della patologia verso quadri di grave deformità della struttura del piede e di severa instabilità articolare. Tali condizioni  pongono il piede a grave rischio di amputazione maggiore.  L’unico trattamento da applicare è l’immobilizzazione dell’arto interessato  con uno stivaletto  rigido in gesso o in  fibra di vetro per un periodo non inferiore a 90 giorni. Quando è interessata l’articolazione della caviglia o il calcagno, il tempo di immobilizzazione puo’ raggiungere i 180 giorni prima che si ottenga la risoluzione della fase acuta ed il raggiungimento della fase di quiescenza della malattia. Numerosi studi hanno evidenziato che durante questo periodo il paziente deve assolutamente evitare il carico sul piede durante la deambulazione anche se questa avviene con l’ausilio di stampelle o tutori. L’eventuale necessità di prolungare il periodo di immobilizzazione deve essere valutata in funzione della remissione dei segni clinici di flogosi locale. La persistenza di una tumefazione eritematosa  con cute calda più di 3° rispetto al piede controlaterale,  suggerisce che il processo infiammatorio non si è ancora spento  e pone l’indicazione a prolungare il periodo di immobilizzazione evitando il carico.  Purtroppo  alcuni pazienti non sono in grado di sopportare questo trattamento per periodi cosi’ lunghi a causa di problemi nella deambulazione secondari alla neuropatia (alterazione dell’equilibrio) o per gravi deficit del visus che rendono l’impiego dello stivaletto rigido  pericoloso per il rischio di cadute accidentali con conseguenti gravi traumi. In questi pazienti è assolutamente indispensabile  verificare che vi sia la possibilità di un aiuto nell’ambito familiare durante il periodo di trattamento.  Schon ha osservato che  la corretta immobilizzazione solitamente permette di velocizzare il processo di guarigione della fase acuta della NAC con mantenimento di una buona stabilita’ articolare al termine del periodo di trattamento.  Durante tutto il periodo di trattamento deve essere posta particolare attenzione al piede controlaterale per il rischio di insorgenza  di un quadro acuto di Charcot,  probabilmente secondario al carico cui il piede viene sottoposto durante la deambulazione. Clohisy e Thompson hanno osservato un interessamento dell’arto controlaterale dopo 4 – 6 mesi di scarico totale dell’arto interessato dal processo acuto della NAC. Gli autori raccomandano quindi l’immobilizzazione preventiva dell’arto controlaterale per tutto il periodo di trattamento. In realtà questa opzione appare difficile da applicare poiché  impone una grave limitazione negli atti di vita quotidiana in particolare nei pazienti che non dispongono di un aiuto nell’ambito familiare. Nel nostro Centro consigliamo ai pazienti l’impiego di calzature protettive con suola rigida a dondolo e contrafforti di supporto della caviglia nella quale viene alloggiato un plantare su calco per il riequilibrio delle pressioni plantari. Viene inoltre applicato un controllo molto attento di entrambi i piedi durante le visite di controllo per tutto il periodo del trattamento.

Trattamento medico della fase acuta della NAC 

L’impiego dei difosfonati nel trattamento della fase acuta della NAC e’ stato oggetto di  discussione  ed a tutt’oggi non vi sono ancora chiare evidenze dell’utilita’ di questo trattamento. Nel 1994 Selby osservò una riduzione dei segni di flogosi nei soggetti trattati con difosfonati. Recentemente  Jude  ha confermato, in uno studio randomizzato controllato in doppio cieco, che la somministrazione di 90 mg endovena di pamidronato in una singola somministrazione ha comportato una riduzione del turnover osseo (riduzione dell’idrossiprolina urinaria e della fosfatasi alcanina ossea) con miglioramento dei segni di flogosi della fase acuta della malattia. Attualmente questo trattamento puo’ essere consigliato anche se non vi sono evidenze cliniche dell’efficacia a lungo termine di trattamenti ripetuti.

Il trattamento della fase di cronicita’ della NAC

Il piede di Charcot  ulcerato

Come descritto in precedenza le lesioni ulcerative plantari che accompagnano la neuroartropatia di Charcot nella fase di stato si caratterizzano per le grandi dimensioni e la profondità, l’abbondante callosità perilesionale, la scarsa tendenza alla guarigione con frequenti recidive e la presenza di protrusioni ossee sottostanti (tabella 3)

SedeProminenze osseeCaratteristiche
AvampiedeTeste metatarsaliAbbondante callosità perilesionale; Profonda con frequente esposizione di tendini, capsule art., osso; Infezione.
MesopiedeCuboide; Cuneiformi; ScafoideCallosità perilesionale non marcata; Rara esposizione di strutture profonde; Infezione.
RetropiedeCalcagnoAbbondante callosità perilesionale; Frequente esposizione osso calcaneare; Infezione

Nel caso in cui la lesione ulcerativa si accompagna all’esposizione ossea è mandatorio escludere la presenza di un processo osteomielitico prima di decidere il programma terapeutico. La specillazione dell’osso attraverso la lesione ulcerativa indica un elevatissimo rischio di osteomielite per cui ulteriori accertamenti specifici quali RMN, scintigrafia ossea con leucociti marcati sino alla biopsia ossea sono assolutamente indicati.  Infatti la presenza di un processo osteomielitico impone, nella grande maggioranza dei casi, una bonifica chirurgica prima di applicare qualsiasi trattamento conservativo sia medico, come l’impiego di apparecchi di scarico, che chirurgico come interventi di artrodesi  per la correzione delle deformità e la stabilizzazione articolare.  Nel nostro Centro poniamo l’indicazione alla bonifica di un focolaio osteomielitico in tutti  i casi di interessamento di piccoli segmenti ossei ed inoltre quando la bonifica chirurgica  non comporti l’insorgenza di una grave instabilità articolare incompatibile con la deambulazione. In quest’ultimo caso, ad esempio quando vi è un interessamento  delle orsa tarsali,  può essere indicata una terapia antibiotica mirata, dopo biopsia ossea per esame colturale, per lunghi periodi, associata ad un trattamento chirurgico che miri alla bonifica del focolaio osseo, e al posizionamento di un fissatore esterno per permettere la fusione ossea richiesta ad una deambulazione efficace.

Vi è ormai da anni un accordo generale nel considerare l’apparecchio deambulatorio di scarico come il gold standard nel trattamento delle lesioni ulcerative plantari

Il trattamento chirurgico della neuroartropatia di Charcot

Le severe deformità che caratterizzano il piede di Charcot frequentemente creano  zone della superficie plantare ove si formano elevati picchi di pressione  dovuti alle protrusioni ossee. In queste sedi sono costantemente presenti lesioni ulcerative, talvolta con esposizione ossea,  che possono essere  curate con successo con l’applicazione di apparecchio di scarico per la deambulazione. Purtroppo, una volta ottenuta la guarigione della lesione, si osservano recidive ulcerative anche se il paziente impiega una calzatura protettiva con idonei plantari di riequilibrio delle pressione plantari.  Le  sedi maggiormente coinvolte nel processo ulcerativo, come ricordato in precedenza, sono le teste metatarsali ed il mesopiede.  La rimozione chirurgica della protrusione  ossea rappresenta l’unica soluzione, peraltro non definitiva del problema, in grado di portare alla guarigione della lesione cutanea con possibilità di protesizzazione.

Brodsky nel  1993  affermava che “ …when severe deformity  threatens  the viability of a limb such that ulceration, infection and amputation are the inevitable results, this is the clearest indication for artrhodesis of a Charcot joint”. Deriva da tutto quanto detto che  l’indicazione al trattamento chirurgico del piede di Charcot deve essere posta solo quando  la soluzione chirurgica rappresenta un intervento di salvataggio d’arto, condizione della quale il paziente deve essere sempre reso edotto.

Indicazione all’intervento chirurgico di artrodesi  nel  Piede di Charcot 

  • severa instabilità articolare non correggibile con protesi
  • severe deformità del piede non protesizzabile
  • lesione ulcerativa plantare recidivante
  • stato di quiescenza della malattia
  • non deficit vascolari
  • accettazione di un lungo periodo di non carico nel post-operatorio
  • assenza di infezioni in corso
  • buon compenso metabolico